Dare vita ad una comunicazione che rispetti le diverse identità di genere evitando stereotipi e promuovendo un linguaggio e un design che siano accoglienti per tuttə è un’aspirazione dovuta. Le parole raccontano chi siamo e con esse anche i caratteri attraverso i quali le leggiamo. Per questo, ci siamo interrogati su come smuoverci dai costrutti di design che ci sono stati assegnati andando alla scoperta di alternative virtuose. Possiamo trasformare e riscoprire la storia che ci è stata tramandata e rendere popolare una comunicazione non-binaria?
12.24 — Inside
Una doverosa premessa. Questo articolo nasce dalla volontà di iniziare a decostruirsi ed affacciarsi verso tematiche che conosciamo ancora poco, ma di cui sentiamo il richiamo. Vogliamo diventare parte del cambiamento senza rimanere spettatori, non sappiamo ancora se e in che misura ci riusciremo, ma questo articolo vuole essere un tentativo di dare un primo piccolo contributo. Questo testo è frutto di letture appassionate e dell’intenzione di condividere una riflessione trasversale che possa generare interesse e soprattutto una messa in discussione per chi legge (e per chi scrive), designer o no. Un punto di partenza per aprire nuove porte.
Il linguaggio come veicolo di comunicazione è multidimensionale e contiene retaggi di epoche passate, segnate ognuna da cambiamenti generazionali. Possiamo considerarlo come un sistema dinamico non solo dal punto di vista della trasmissione e ricezione delle informazioni, ma come elemento delle realtà sociali, culturali e tecnologiche. Il linguaggio ed il pensiero non sono sistemi separati, ma dimensioni interconnesse che si co-generano reciprocamente: il linguaggio diventa lo spazio materiale in cui il pensiero prende forma.
Similmente, anche il rapporto tra pensiero e comportamento si sviluppa in modo circolare e interconnesso. I nostri modelli mentali, le nostre credenze più profonde e i nostri schemi cognitivi fungono da architrave invisibile che orienta le nostre azioni, traducendo i pensieri in atti concreti. Al contempo, ogni comportamento innesca un processo di retroazione che ri-modella i nostri sistemi di pensiero, generando nuove prospettive. Non si tratta semplicemente di una relazione causale lineare, ma di un ecosistema dove pensiero e azione si influenzano e si nutrono reciprocamente.
Dobbiamo comprendere l’importanza che ha il nostro modo di scrivere e di ricevere le informazioni, anche nell’ambiente online permeante la nostra quotidianità. Riprendendo una frase della linguista e attivista Vera Gheno: “Le parole sono atti identitari, raccontano chi siamo”.
Ad esempio, l’utilizzo del maschile sovraesteso è ormai da considerarsi obsoleto e inadeguato. Meglio passare ad espressioni e rappresentazioni linguistiche che rispettino la pluralità dei generi: asterischi, tutti e tutte, utilizzo della vocale finale u, scelta di parole neutre e via dicendo. Dal canto nostro abbiamo scelto di adottare la lettera schwa (ə), crediamo renda la lettura più scorrevole rispetto ad altre soluzioni.
Lo schwa è un simbolo fonetico che rappresenta una vocale neutra o indistinta, è un suono vocalico centrale, né anteriore né posteriore. Nel contesto del linguaggio non binario, lo schwa nasce dalla necessità di decostruire il sistema linguistico tradizionalmente binario (maschile/femminile) che non riconosce l'esistenza di identità di genere al di fuori di questa struttura dicotomica. Utilizzando, lo schwa neutralizza le desinenze grammaticali, creando uno spazio linguistico più inclusivo.
In tema di design ed inclusione, un faro nel panorama internazionale è costituito dalla grafica di livello mondiale Ellen Lupton e dall’illuminante libro di cui è ideatrice e co-autrice: Extra Bold.
Extra Bold si presenta come “una guida femminista inclusiva antirazzista non binaria per graphic designer”, ma forse è addirittura più di questo. È un testamento moderno che ci spinge a guardaci indietro, dentro e attorno a noi. Ci guida nel rivedere la cosiddetta storia ufficiale, in particolare quella del design, una narrazione intrisa del dominio di uomini bianchi di origine europea. E proprio questo eurocentrismo di genere maschile ci ha fatto tralasciare il ruolo nello sviluppo delle arti grafiche che le donne hanno avuto nel corso dei secoli, così come accade in molti altri ambiti.
Extra Bold però non si limita alle tematiche di genere, ma esplora una vasta gamma di discriminazioni esponendo un approccio di design intersezionale, capace di dare voce ad una pluralità di identità. Uno dei grandi pregi del libro è ci porta ad avere uno sguardo contemporaneamente globale e immerso nelle singole storie che vengono raccontate. Uno degli aspetti che più ci ha colpito e che ci interessa approfondire come professionisti del digital design è quello riguardante la tipografia.
La storia della stampa a caratteri mobili nasce nella Germania del XV secolo ed ha coinciso temporalmente con conquiste coloniali occidentali che hanno portato la tipografia a fare sue le strutture binarie.
Roman vs italic
Il rapporto tra le diverse famiglie tipografiche rivela una profonda dialettica di potere e differenziazione. Il carattere roman, rappresenta la forma canonica, strutturata e normativa, mentre l'italic appare come una variante inclinata, quasi un supplemento che conferma la regola principale. Molto spesso l’italic è relegato ad essere una variante frettolosamente inclinata del roman, invece che essere progettato come una versione con una sua vitalità.
Serif vs sans serif
Analogamente, il rapporto tra serif e sans serif traduce una tensione tra tradizione e modernità: i serif rimandano all'estetica classica, alle incisioni archeologiche, alla solidità delle istituzioni; i sans serif incarnano invece l'ideale di pulizia, neutralità e funzionalità propria della modernità tecnologica. In questo aspetto i designer hanno sempre cercato di uscire dai binari, portando i caratteri serif e sans serif ad esistere su uno spettro, più che su una dicotomia.
Minuscolo vs maiuscolo
La dialettica tra maiuscolo e minuscolo riproduce poi una gerarchia simbolica: le maiuscole occupano uno spazio di autorevolezza, rappresentano l'ufficialità; le minuscole appartengono alla dimensione dell'intimità, del sussurro, della conversazione quotidiana. Ogni variazione tipografica diventa così un microcosmo di relazioni di potere, dove la forma non è mai neutrale.
Nella dimensione della comunicazione grafica, alcuni designer stanno esplorando font che scardinino le convenzioni tipografiche tradizionali, creando alfabeti che si propongono di superare le strutture binarie di rappresentazione. Questi font non sono solo strumenti grafici, ma veri e propri manifesti di aspirazione verso l’inclusività, dove la forma delle lettere diventa metafora di una narrazione che rifiuta le categorie rigide e abbraccia la complessità delle identità contemporanee.
Di seguito riportiamo il nome di questi font, seguiti dalle loro descrizioni originali (catalogo immagini in coda all’articolo).
Non-binary font di Ariel Brandolini
“nON-bINary è un font sperimentale gender neutral, un carattere non binario, inclusivo e tanto esoterico. Un processo alchemico nel quale primitivi e arcani pittogrammi diventano strumenti di comunicazione moderna. La sintesi di questa maniacale ricerca è nON-bINary, un font che cerca di liberare i retaggi intrappolati all’interno di ogni lettera, rompere la sua gabbia e svelare il suo DNA, cancellarne le tracce dei secoli, l'altezza, la forma, le varianti, le influenze culturali. Le aste delle lettere minuscole si protraggono con la volontà di diventare maiuscole, e viceversa, ogni lettera contiene se stessa ed esprime una nuova forma, sempre leggibile, che la rende universale.”
Courtesy: Ariel Brandolini
A queer year of love letters
“A Queer Year of Love Letters connects font design to queer culture at a time of increasing erasure and suppression of trans and queer histories. A series of openly downloadable fonts whose letterforms derived from the life stories, printed ephemera, and vernacular scripts of countercultural queers from recent decades.”
Courtesy: Nat Pyper
Stonewall 50 di Steeve O Connel e Bobby Tannam
“Stonewall 50 is a typeface commemorating one of the most pivotal moments in the fight for LGBTQI+ rights: the 1969 Stonewall uprising. The typeface was released by Feeld, a dating app open to all genders and sexual identities, as a free download to celebrate the 50th anniversary of Stonewall and Pride. Inspired by the vernacular, handmade letterforms adorning the placards of the Stonewall protesters, the typeface draws on concepts of personal expression and individuality; it celebrates the beauty and dignity of each human being and the validity of their personal experience of sexuality and gender.”
Courtesy: Steve O Connell and Bobby Tannam at Feeld
Bumpy Typeface di Beatrice Caciotti
“Bumpy is a variable font designed as a result of a research focused on the relationship between gender stereotypes and typefaces.”
Courtesy: Beatrice Caciotti
Andare oltre la tipografia e il genere significa aprirsi ad una concezione nuova della comunicazione visiva, dove i contenuti possano diventare spazi di negoziazione identitaria. La sfida contemporanea non risiede solo nel neutralizzare, ma nel trasformare la tipografia (e le altre forme di contenuto) in un territorio di resistenza estetica e politica, dove ogni tratto, ogni curva, ogni spessore diventa possibilità di racconto. I font inclusivi non sono dunque semplici esperimenti grafici, ma tentativi di decostruire linguaggi sedimentati, di aprire varchi semantici che accolgano la complessità dei corpi e delle soggettività.
In questo scenario, la tipografia diventa un manifesto vivente: non più strumento di classificazione e normalizzazione, ma spazio di libertà, di immaginazione, di ri-significazione continua.
La comunicazione e la lingua stanno cambiando rompendo i dogmi del conservatorismo di matrice patrialcale. Vogliamo scoprire come farne parte.
Copyright copertina
Fotografia — Valcarce, Manu. Feeld × Pride 2019. Immagine digitale. 2019.